Il linguaggio simbolico del Cioccolato

Se ogni elemento naturale possiede, oltre ale sue proprietà oggettive, anche proprietà simboliche, questo è ancor più vero nelle festività e nelle ricorrenze: e il giorno di San Valentino, festa degli innamorati, non fa eccezione.
Oltre all’uso dei fiori, con tutte le sue simbologie più generiche, e più specifiche a seconda del fiore donato, l’uso della cioccolata riveste un ruolo di primo piano per San Valentino.
Se infatti il cioccolato è stato considerato un cibo del peccato dalla Chiesa, esattamente come il caffè, nel corso del tempo, probabilmente a partire dal XIX secolo, e più precisamente dall’Inghilterra, si è cominciato ad associare il cioccolato all’amore: in particolare come simbolo di dolcezza e consolazione.
Il primo ad associare il prodotto all’amore e agli innamorati sarebbe stato Richard Cadbury, imprenditore, che lanciò per primo l’idea di vendere scatole di cioccolata e di usare le stesse scatole per contenere lettere d’amore.
Attualmente il prodotto-cioccolato viene venduto sul mercato sotto diverse varianti, le quali hanno anche significati simbolici differenti: esistono cioccolate al latte, fondenti, piccanti, ecc..
Questo ha di fatto aumentato le sfumature dei significati del prodotto, non solo più interpretato come simbolo di romanticismo e dolcezza, ma anche come simbolo di passione e di trasgressione.
«Per migliaia di anni, le culture indigene del Messico e dell’America Centrale hanno consumato il cioccolato in forma di bevanda amara, dal nome xocolātl. I Maya e gli Aztechi usavano infatti macinare i semi di cacao e li mescolavano con acqua, peperoncino e farina di mais, così da ottenere un drink piacevolmente cremoso e schiumoso. All’epoca il cioccolato era soprattutto apprezzato come rimedio naturale energizzante, in grado di migliorare anche l’umore. Il primo a decretarne invece proprietà afrodisiache fu il leggendario capo azteco Montezuma II, noto per chiedere i semi di cacao ai popoli conquistati. Il re credeva che la bevanda potesse migliorare tanto le prestazioni militari quanto quelle sessuali all’interno del suo harem; si narra che per aumentare potenza e resistenza bevesse addirittura 50 tazze di cioccolata calda al giorno e che nell’harem avesse 50 giovani donne.
Era il 1519 quando gli spagnoli, capitanati dal generale Cortés, invasero l’America Centrale, sconfiggendo gli Aztechi e portando in Spagna la popolare bevanda.
L’adattamento spagnolo della ricetta prevedeva l’aggiunta di un dolcificante (miele o, forse, zucchero di canna), della vaniglia (appena scoperta) e di un pizzico di cannella e di pepe nero. Ben presto gli spagnoli ne furono letteralmente ossessionati, al punto che il fenomeno attirò l’interesse della Chiesa Cattolica, intenzionata a fare un’indagine. Nonostante la diffusa credenza che il cioccolato avesse proprietà curative, quali ad esempio quella di abbassare la febbre o la sensazione di caldo e umidità, i chierici europei lo condannarono in quanto cibo peccaminoso e afrodisiaco, in grado di istigare i fedeli a compiere attività sessuali promiscue. L’intervento della Chiesa fece sì che la ricetta della cioccolata calda rimase un segreto nazionale per quasi un secolo. Il cioccolato infatti, si sarebbe diffuso prima in Inghilterra e poi nel resto dell’Europa, solo dopo il 1600.Nel corso del secolo successivo il cioccolato ha continuato a essere associato alla passione o alla lussuria finché Anna d’Austria, in occasione del suo fidanzamento con re Luigi XIII, gli diede in dono del cioccolato confezionato in una scatola di legno decorata».
(tratto da https://www.lacucinaitaliana.it/news/in-primo-piano/cioccolato-simbolo-di-amore/)
Dario Solarino
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